Si fa un gran parlare di cibo, ormai da anni. Il cibo è diventato la superstar dei programmi televisivi, nelle librerie, sul web, nelle fiere e negli eventi di paese. Ce lo propongono in tutte le salse, a partire dal mattino fino a sera tardi. Fino alla nausea. Per fortuna è arrivata lei, una bionda eterea giornalista (che adora mangiare parecchio, senza preoccuparsi della linea, anche grazie ad un metabolismo da record) a ricordarci che la verità passa da un piatto, vuoto. Perché consumato. Perché ciò che mangi è ciò che sei e non c’è bugia che possa reggere il piacere. E l’ha raccontato attraverso” i gusti e i disgusti” di cinquanta famosi, prima nella sua rubrica domenicale su La Stampa, poi in un libro il cui titolo non lascia dubbi. O forse qualcuno.
Francesca, secondo te… In cibo, veritas?
Il cibo è una forma, incontestabile, di verità. È una realtà materiale, nella sua concretezza non lascia spazio a dubbi. Certo, i gusti possono cambiare ma cambiano con noi, crescono con noi in qualche modo…nel negativo, nel positivo, nei tentativi che uno compie per raffinarsi, per mettersi a dieta o alla prova. I nostri gusti sono un po’ lo specchio di tutti noi. Uno dei pochi in cui la nostra immagine riflessa non è sfalsata. Nemmeno da noi stessi medesimi.
Raccontaci com’è nato il libro, pubblicato da edizioni La Stampa
Si può dire che il libro sia nato prima della rubrica stessa. Fa parte di un percorso, iniziato con il mio documentario Magna Istria – con la regia di Cristina Mantis- in cui ho iniziato a utilizzare il cibo come strumento narrativo. Nel documentario il cibo è un terreno di non conflitto, uno spazio neutro in cui la storia dell’esodo istriano-dalmata potesse raccontarsi con parametri diversi da quelli incancreniti e carcerizzanti della politica. La rubrica è più leggera, ha la piccola pretesa di trovare, con la scusa della tavola, la persona che sta dietro o dentro il personaggio. Ho sempre pensato che ne avrei fatto un libro.
Mi ha colpito una frase della tua introduzione: A me piacciono le persone. Tutte. O quasi. Di norma quelle che non mi piacciono le vado a cercare, le rincorro, le cerco, per capirle. Una volta che le hai trovate… che succede?
Le scopro, trovo in loro il perché della tensione che mi suscitano, credo che ci sia sempre un motivo alla tensione. E molto spesso cela creatività, reciproca. Non sempre, però.
Tu abiti a Torino, nel quartiere di San Salvario, dove da qualche tempo, si è spostata la movida che un tempo rallegrava il Quadrilatero Romano. Quali sono i tuoi locali preferiti?
Pochi in verità. Detesto questa movida artefatta, pompata, per chi come me ha scelto questo quartiere per vivere, è una sorta di rarefazione del posto, delle strade, della gente che lo abita/abitava; dei negozietti da quartiere che hanno chiuso… pochi sono i posti che meritano e restano, forse, tra i primi che avevano aperto. La Cuite è un buchetto delizioso dove bere vini sublimi. Scannabue, un ristorante di altissima qualità che ha ridato la dignità della bellezza alla piazza di largo Saluzzo. Tea Pot, con il suo camino d’inverno. Poi, più di tutti e prima di tutti, Coco’s e Angela!
Sempre rimanendo nella capitale sabauda… la Torino del gusto: indica a chi viene da fuori per visitare la città alla ricerca dei suoi sapori, piatti tipici, profumi, i tre posti ideali per fare colazione, pranzo e cena e perché hai li hai scelti.
Adoro Maggiora per i tramezzini: divini, come tutto il resto. Non sono il massimo della simpatia ma lavorano tremendamente bene e adoro il fatto che sia mignon. Io sono la più grande cultrice del salato mignon. Non può mancare un salto al Bicerin, posto splendido. Sarà la cioccolata più deliziosa della vostra vita. Anche Mulassano, vale un salto, purtroppo però la qualità è un po’ scesa.
Una curiosità: come li cucina gli spaghetti Valeria Bruni Tedeschi?
Semplicemente.
Perché Oscar Farinetti (il geniale fondatore di Eataly-link), adora la carne cruda?
Tutte le ricette, i piatti che ho “affibbiato” ai miei personaggi, sono lì in quanto richiamo dei medesimi. Spiego meglio: alcuni sono realmente piatti che loro adorano. Altri sono piatti che a me li ricordano. La carne cruda l’ho affiancata a lui per diverse ragioni. Oltre ovviamente a quella territoriale, Farinetti è uomo di Langa, anche per la forza del sapore, per la semplicità, per il suo rappresentare la genuinità di un luogo. Olio, aglio, sale, pepe, limone.
Il risotto meraviglioso di Mario Calabresi, il direttore de La Stampa, come si cucina?
Basta leggerlo sul mio libro (sorride)
Tutto questo cibo che trasborda dalle trasmissioni televisive, non rischia di soffocarci e di sminuire l’atto e il piacere del mangiare?
Forse non il piacere, perché il cibo resta sempre un piacere. Anzi, credo che in questo periodo di crisi profonda, e non solo economica, rimanga la quasi unica ipotesi di divertimento in un presente sempre più deprivato di allegria. Non sono contro il cibo in tv. Anzi, credo che il margine creativo sia ancora molto ampio. Poi, come sempre, le eccezioni esistono.
Hai scritto: la verità della nostra anima si nasconde in ciò che ci dà piacere. Quale elemento comune agli intervistati hai scoperto, legato all’anima, alla verità e al piacere?
La memoria. Delle parti migliori che ognuno di noi riconosce in se stesso, in quello che è riuscito a fare di sé nel tempo.
Dove sei solita incontrare i tuoi intervistati?
Ovunque loro vogliano
Hai una scrittura che affascina e rendere quasi romantico ogni tuo pezzo… previsioni di un romanzo, magari legato alle storie di cibo di protagonisti presenti e lontani?
Assolutamente si!
di Erica Vagliengo
Info:
il libro può essere acquistato sul sito de La Stampa
la sua rubrica: http://www.lastampa.it/societa/cucina/protagonisti/in-cibo-veritas
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