“La Grande Madre”. A Palazzo Reale di Milano.

Dalle vostre madri siete nati. Alla terra madre vi siete affidati. Di una donna vi innamorerete sempre. Io, sono Erika, e sono donna. È mia questa frase. È mio questo corpo e questo cuore. Ho un pensiero su “La Grande Madre”: “Sono milioni di vertigini che si compongono in un equilibrio lucido”.
È scritto in un’opera dell’artista Rosa Rosà. In una delle sei tavole che illustrano la seconda edizione del romanzo futurista di Bruno Corra “Sam Dunn è morto”. Si trova nella sala 6. Perdonatemi se ho fatto un salto dall’ 1 al 6, ma la frase racchiude pienamente il mio pensiero su questo percorso artistico e culturale che è “La Grande Madre”. Parte del palinsesto di ExpoCittà, la mostra, a cura di Massimiliano Gioni, è stata progettata dal Comune di Milano e dalla Fondazione Nicola Trussardi. Oltre 400 opere, 139 artiste, artisti, scrittori e registi internazionali, 2.000 metri quadrati di allestimento, articolato in 29 sale al primo piano di Palazzo Reale. A questi numeri aggiungo una miriade di pensieri e miliardi di PROVOC-AZIONI. Non è un errore. L’esposizione ha dettato in me questo umore. Ha provocato azioni. Della mente e del corpo. Vibrazioni di pelle, in quanto donna, e desiderio di conoscenza; in quanto essere umano.
Il tema della maternità nell’arte del Novecento. E quello che ho visto è vita. Semplicemente. La vita del cosmo e dell’umanità. Un ventre che rivela uniformità, amore, somiglianze a volte inaspettate, altre volte protestate, violenze e dolcezze. Dagli archivi di Olga Fröbe-Kapteyn fino ai giorni nostri. Tra cultura, psicologia, storia, sociologia e arte. Tutte le dimensioni del sapere in una scala di crescita che definirei “elettrocardiommatica”. Un neologismo. Inventato da me. Rispecchia bene i sentimenti che ho provato dalle 14 alle 17 di una domenica di settembre. Bassi. Alti. Medi. Stupore. Attenzione. Attrito. Dubbio. Orgoglio. Ho camminato. Mi sono seduta. Per terra, sui divanetti. Ho fissato per minuti e minuti le stesse opere.

SALA 21_Pipilotti Rist_Spero
Tra Ottocento e Novecento si manifesta la rottura del canone della tradizione borghese, quello di una donna esemplificata dalle tre k: “Kinder, Kirche e Küche” [bambino, chiesa e cucina]. Solo nel Novecento emergono le polarità dell’archetipo del “La Grande Madre”, quelle più irrazionali e istintive. Quelle femminee. Tutto così guadagna di significato e la scala di valori subisce trasformazioni indelebili.
“La Grande Madre” è da un certo punto di vista una “biblioteca feconda” che raccoglie il potere creativo della madre, ma soprattutto quello negato e poi conquistato. Cliché, metamorfosi, abusi, stereotipi, testimonianze, nudi. L’occhio di noi visitatori passa in rassegna reportage artistici, fotografici, scultorei.
Non vorrei svelare di più, perché vi prenderei troppo per mano. Lascio a voi la vostra provoc-azione. Un consiglio. Giratela con delle cuffie nelle orecchie. Ascoltate Lirica o Classica. In mano però tenete la guida cartacea che trovate all’ingresso. E leggete, pensate, assorbite.

di Erika Fabiano

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